Comune di Selargius

Celebrazione del 150° dell’Unità d’Italia”

Visualizza il manifesto

Intervento del Sindaco, Gian Franco Cappai

 

Illustri relatori, stimati ospiti, cortese pubblico,

          grazie alla sensibilità degli amici della Libera Università del Campidano, anche il Comune di Selargius partecipa stasera alle celebrazioni che, in tutt’Italia, si stanno svolgendo per i 150 anni dell’unità nazionale.

          Non spetta a me svolgere le analisi di carattere storico, per le quali avremo il piacere di ascoltare i due relatori che fra breve prenderanno la parola. Consentitemi solo qualche considerazione che, in un momento di solennità quale quello che stiamo vivendo, che vede coinvolta l’intera Italia, potrebbe quasi suonare come una nota stonata.

          Vediamo perché.

          Riprendendo un concetto sviluppato dallo storico Francesco Cesare Casula, desidero invitarvi a una breve riflessione sulla nostra storia, quella che chiamerei sardo-italiana, e della quale – in verità – ben pochi storici hanno scritto o ci hanno parlato.

          Mi spiego con un esempio. Se si immagina uno Stato come un’automobile, gli storici raccontano la storia del guidatore, ovverosia dei governanti statali, siano essi re o principi o presidenti, ecc.; oppure raccontano la storia dei passeggeri, ovverosia del popolo, con tutte le guerre, le rivoluzioni, gli affanni, le gioie e le miserie da esso patite.

          Nessuno pensa però, a fare la storia dell’auto, ovverossia dello Stato, senza il quale non ci sarebbero né il guidatore né i passeggeri.
Rapportando questo banale esempio al “caso Italia/Sardegna”, viene da chiedersi: quali sono la storia, la nascita e lo sviluppo dello Stato oggi chiamato Repubblica Italiana?

          I documenti parlano chiaro: «L’attuale Stato italiano non è altro che l’antico Regno di Sardegna ampliato nei suoi confini». Quindi, non c’è mai stata un’unità d’Italia, ma uno Stato, chiamato Regno di Sardegna, nato in Sardegna, a Cagliari-Bonaria il 19 giugno 1324, che per annessione ha incamerato dal 1848 al 1861 tutti gli Stati della Penisola italiana.

          Il 17 marzo 1861, visto che l’automobile (per restare all’esempio fatto sopra) si era ingrandita enormemente, il guidatore dello Stato sardo (cioè Vittorio Emanuele II di Sardegna, imbeccato dal Cavour) pensò bene di cambiargli il nome, da Regno di Sardegna a Regno d’Italia.
          Ed è così che, col cambio del nome allo Stato, la domenica mattina di quel 17 marzo, ha inizio quello che Casula ha chiamato il “Grande Inganno” nella nostra storia nazionale.

          In verità, il cambio del nome di uno Stato non è un atto arbitrario, incostituzionale. Sia il nome sia il titolo sia la simbologia statuale appartengono alla categoria degli “attributi di personalità” dello Stato, i quali possono essere modificati o addirittura aboliti senza che lo Stato ne soffra o cambi la propria condizione giuridica.

          Nel corso della storia ciò è avvenuto tante volte in tutto il mondo: nel 1302 il Regno di Sicilia cambiò il nome in Regno di Trinacria, nel 1789 il Regno di Francia cambiò il titolo e il nome in Repubblica Francese, dal 1939 al 1947 la Spagna non ebbe né titolo né nome, chiamandosi semplicemente El Estado.

          Il cambio del nome nel 1861, da Regno di Sardegna in Regno d’Italia fu, probabilmente, una cosa giusta e sensata, in quanto la maggior parte delle precedenti realtà statali era allora rappresentata dalla penisola italiana.

          Ciò che, invece, fu e resta ingiusto è che col cambio del nome si sia cambiata anche la storia istituzionale, politica e sociale dello Stato. Da quella mattina del 17 marzo 1861, infatti, la storia dello Stato non è più la storia del Regno di Sardegna, iniziato nel 1324 e pregnato per 537 anni dal sangue e dal sudore dei sardi isolani e continentali, ma la storia della penisola italiana, dagli etruschi ai romani, dai longobardi ai normanni, dai veneziani, toscani, napoletani ai piemontesi.

          Per cui, a scuola, dove si plasma e s’indirizza la società del domani, s’insegna la battaglia di Legnano o la disfida di Barletta affatto ininfluenti nella formazione dello Stato, e non la battaglia di Lutocisterna (è il caso di ricordare che i catalano-aragonesi, prima della battaglia, era accampati proprio a Selargius) o la battaglia di Sanluri senza le quali, oggi, non ci sarebbe quell’entità per la quale tutti noi, insulari e peninsulari, lavoriamo, preghiamo, combattiamo e paghiamo le tasse.

          Un errore di prospettiva – consentitemi di chiamarlo così – nel quale incorse lo stesso Indro Montanelli. In quella “Storia di Italia” che ha venduto centinaia di migliaia di copie, il Regno di Sardegna vi compare di sghimbescio e al suo posto compare il Piemonte. “Il Piemonte si era impegnato...”, “Una richiesta di annessione al Piemonte...” ecc., quando nei documenti diplomatici si parla invece di Sardegna.

          Eppure, nel corso di quei 537 anni tutta l’Italia era Sardegna, con capitale Cagliari, e tutti gli italiani erano sardi. Per dimostrarlo, Casula porta due esempi: sui libri di testo in uso negli Stati preunitari, si leggeva che “il fiume più lungo della Sardegna è il Po” e su un giornale inglese del 1851 un inviato di guerra scriveva che gli austriaci avevano attaccato “la costa sarda del Lago Maggiore”.

          Ma non basta. Il tricolore non è altro che la seconda bandiera dello stato sardo, dopo i quattro mori, e sull’Altare della Patria, fra le sedici statue che rappresentano in forma bucolica le regioni di allora, una sola ha la corona e lo scettro: la Sardegna.

          E qui mi fermo, perché sento il bisogno di spiegare che queste mie riflessioni non devono essere fraintese e interpretate come un maldestro tentativo di mettere in discussione, come purtroppo oggi sta avvenendo da più parti, la compiuta unità come evento fondamentale della nostra storia.

          Ritengo invece che la fonte della nostra autostima, del nostro orgoglio di essere sardi risieda proprio nella conoscenza del ruolo fondamentale e centrale che la Sardegna ebbe nella nascita e crescita dello Stato Italiano.

          Così è giusto ricordare la partecipazione dei sardi alle guerre di indipendenza e al fervore patriottico che le accompagnò. La propaganda mazziniana toccò rapidamente anche la nostra isola, dove il sassarese Gavino Soro Pirisino fu uno dei suoi grandi predicatori. E il sottotenente Efisio Tola, sassarese, venne fucilato a Chambéry nel 1833 con l’accusa di avere letto e diffuso la stampa della “Giovine Italia”. Dal 1855 Garibaldi scelse Caprera come sua dimora e vi costruì la “casa bianca” e gli altri edifici che ancora oggi lo ricordano.

          Concludo sottolineando che ritengo giuste le rivendicazioni di quanti chiedono oggi, per la Sardegna, una particolare condizione di autonomia, giustificata prima di tutto dalla sua condizione di insularità, ma anche da ragioni storiche e culturali. E’ il solo modo per evitare che da una marginalità di tipo geografico derivi una ancor più grave marginalità sul piano istituzionale, come purtroppo si è verificato nel passato, in aperta violazione del principio costituzionale di uguaglianza.

          L’auspicio che formulo – e termino – è che le nuove generazioni, pienamente coscienti del ruolo che la loro terra ha avuto nella costruzione dello Stato italiano, sappiano dare un determinante contributo nella storica lotta per il riconoscimento della nostra specialità.

Selargius Stemma
  Comune di Selargius